L’appuntamento è per il 22 maggio in via Pontaccio a Brera, nel cuore del quartiere più suggestivo di Milano. Un’intera sezione è dedicata a manoscritti di pregio d’epoca tardo medievale e rinascimentale, autografi e lettere di personaggi di primo piano, nonché prime edizioni d’autore autografate. I cammei sono tanti e preziosi, ma i lotti più interessanti rimangono i manoscritti. Il più antico di quelli in asta è una bellissima Platea su pergamena (valutazione 12,000-18,000 €), relativa ai territori della Famiglia Ruffo di Calabria al tempo di Pietro II (1230-1310): pochi anni dopo aver riconquistato la contea di Catanzaro grazie alla protezione di Carlo I d’Angiò (1226-1285), Pietro commissionò a Johannes de Johiero de Catanzaro (menzionato appunto alla c. 19 recto, rr. 2-3) una sorta di regesto catastale dei territori della propria contea.
Pertanto l’esemplare potrebbe essere stato vergato fra l’inizio del 1300 (commissione della Platea) e il 1310 (anno di morte di Pietro II Ruffo), datazione confermata anche dalla bella scrittura in cui è compilato il codice: una gotica italiana arricchita da un apparato decorativo semplice ma curioso, con lettere incipitarie stilizzate, tipiche dell’Italia meridionale dei secoli XIII-XIV. Proseguendo in ordine cronologico, troviamo un manoscritto toscano contenente il Summa de casibus conscientiae (valutazione 8,000-12,000€), opera di Bartolomeo di San Concordio (1262-1347). Redatto fra il 1338 e il 1346, come si desume dall’incipit (c. 1 recto) e dal colophon (c. 202 verso), il codice rappresenta un esemplare assai interessante per due motivi: alla c. 203 recto è esplicitato il nome del copista, Antonius Guarnera (che scrive in una bella gotica corsiva): “Qui scripsit scribat semper cum domino vivat / vivat in celis (sic) Antonius Guarnera morte felix“; è uno dei più antichi esemplari del Summa de casibus, vergato con l’autore ancora vivente.
Rimanendo in ambito toscano, spicca per bellezza e particolarità un manoscritto contenente Le donne famose (De mulieribus claris) di Boccaccio (valutazione 15,000-25,000 €), tradotta in volgare toscano dal Maestro Donato Albanzani da Casentino (ca. 1336 – fine secolo XIV) per Niccolò d’Este forse nel 1397 in occasione delle nozze fra il marchese e la figlia di Francesco II di Carrara, signore di Padova (l’editio princeps risale al XIX secolo: Volgarizzamento di Maestro Donato da Casentino dell’opera di messer Boccaccio De claris mulieribus, rinvenuto in un codice del XIV secolo dell’Archivio cassinese, Milano: G. Silvestri, 1841). Il colophon alla c. 133 recto ci rende noti il nome del copista (Francesco di Pagolo Piccardi) e la data in cui il codice è stato ultimato (1 settembre 1456): “[…] trasllatato inn idioma volgare per maestro Donato di Casentino al mangnifico marchese Niccolò da Esti prencipe e signore di Ferrara / Questo libro è schritto per me Francesco di Pagolo Piccardi a pitizione d’Agniolo Tucci cartolaio adì primo di settembre 1456. Iddio lodato”.
E’ noto che Poggio Bracciolini apprezzasse molto la nitidezza della scrittura di Francesco di Pagolo (formatasi nell’ambito della mercantesca romana durante il lavoro presso la Compagnia dei Monaldi a Roma), al quale infatti commissionò anche la trascrizione di alcune opere del Petrarca verso la metà del XV secolo. La sua mercantesca, adoperata per un testo di contenuto letterario, si inserisce appieno nel panorama culturale della Firenze del Quattrocento, come anche la scelta della bella iniziale e del fregio a bianchi girari che campeggiano sul frontespizio. Le note marginali e le simpatiche maniculae che costellano il testo testimoniano che il nostro è stato un esemplare letto e vissuto negli anni. Non è noto il committente, ma è sicuramente significativo rintracciare nel margine inferiore del frontespizio, all’interno di una corona d’alloro, lo stemma stilizzato da ricondurre probabilmente alla famiglia Prini (?), di epoca lievemente posteriore. In asta c’è anche un preziosissimo libro d’ore fiammingo databile al terzo quarto del XV secolo (valutazione 20,000-30,000 €).
L’apparato decorativo è ricco e pregiato: consta di 13 eleganti miniature riconducibili allo stile di Willem Vrelant, pittore e miniaturista attivo a Bruges fino al 1481 ca.; fra queste, 12 miniature sono “a finestra”, in semi-grisailles inserite in una cornice che itera il motivo dell’acanto fiorito sui colori dominanti del blu, verde e oro. Decorano il codice anche 12 cornici e un fregio con iniziali ornate a motivi floreali su fondo dorato; capilettera medi e piccoli in inchiostro colorato, spesso anche filigranati in blu o in rosso. Questo ricco apparato decorativo è paragonabile su base stilistica e iconografica ad altri libri d’ore: innanzitutto i manoscritti Trivulziani 470 e 474 (realizzati probabilmente nella bottega di Gand tra il 1440 e il 1460) conservati presso l’Archivio Storico e Biblioteca Trivulziana di Milano; e il manoscritto Cassaf. 3.11 della Biblioteca Angelo Mai di Bergamo.
Da un’analisi attenta del codice, si può ipotizzare che il committente, originario di Utrecht, dopo aver acquistato il libro a Bruges, in un secondo momento abbia fatto aggiungere nella città natale il calendario, che apre così il manoscritto. Infatti, nelle carte del calendario risaltano i nomi di Santi e personaggi legati alla città di Utrecht, quali S. Pontiano nel mese di gennaio (le sue reliquie sono conservate a Utrecht) e S. Odolfo nel mese di giugno (venerato a Utrecht), nonché Villibrordo nel mese di novembre, il quale fu anche vescovo della medesima città dal 658 al 739. Un’altra peculiarità degna di nota risiede nelle dimensioni assai minute del libro d’ore: 84 x 55mm costituiscono un formato per così dire “tascabile” e, se non eccezionale, sicuramente inconsueto. Come spiegare un formato così piccolo? Probabilmente esso sorge da un gusto estetico che sapeva apprezzare il particolare pregiato, raffinato e curato con estrema precisione.
Non mancano nemmeno bizzarrie e curiosità di vario genere: un certo profumo d’oriente è portato da tre lotti di manoscritti di preghiera tibetani, vergati all’inizio del secolo scorso e parzialmente arricchiti da miniature raffiguranti divinità orientali (valutazione 200-400€ a lotto); una puntata sull’arte moderna e contemporanea è invece garantita da un insieme di scritti autografi di Giorgio De Chirico (valutazione 2000-3000€), pubblicati negli anni ‘50 sulla rivista “La Ruota”, in cui l’artista lamenta l’inaccettabile circolazione di due falsi a lui ripetutamente attribuiti in una pubblicazione della Graphic Society – Fine Art Publishers di New York e successivamente da un catalogo d’arte curato dall’Unesco; non vengono risparmiati nemmeno pittori come Van Gogh, Cézanne, Gauguin e Modigliani, accusati rispettivamente di “demenza”, “scemenza”, “nevropatia”, “alcolismo e abulia”.
E non mancano autografi di personaggi illustri che hanno fatto la storia dell’Occidente, come il cardinale Mazzarino, il patriottico Giuseppe Mazzini, lo scienziato Alessandro Volta, Vincenzo Bellini, compositore della ben nota Norma. Bellissima è anche la prima edizione Dei Sepolcri, stampata a Brescia da Nicolò Bettoni nel 1807. Gli amanti del Romanticismo Europeo apprezzeranno particolarmente questo nostro esemplare in quanto nel margine inferiore del frontespizio è vergata la dedica autografa del poeta all’amico Cusi “Auctor / Josephi Cusj / Sis felix, et sint candida fata tua” (il verso latino cita Tibullus, III, VI, 30).
Da una prospettiva filologica, questo volume costituisce il primo e il più autorevole testimone testuale del carme. E’ da considerare infatti che l’editio princeps del Bettoni è stata stampata in poco più di cento esemplari, i quali talvolta presentano varianti, che possono essere considerate sviste editoriali oppure vere e proprie correzioni in fieri di mano del poeta. La galleria qui proposta è solo una parte delle meraviglie su carta e pergamena in asta presso IlPonte di Milano: non rimarranno disattese tanto le velleità bibliofile quanto le speranze degli appassionati e dei cultori della materia. Elisa Bianchi